Ebbene sì, oggi alle 13:30 tutta Italia si è fermata e cinquantanove milioni di cuori hanno battuto in un unico afflato durante i tre minuti e 51 secondi che sono serviti ad Amadeus per annunciare i VENTISETTE Big che prenderanno parte all’edizione numero 74 del Festival di Sanremo (aspettando la promozione dei tre vincitori della serata di Sanremo Giovani, prevista per il 13 dicembre prossimo).
Il tono apocalittico è appropriato in quanto mai come quest’anno leggo un clima da resa dei conti, o se vogliamo da vera e propria Guerra dei Mondi, in merito alla kermesse sanremese. Vuoi perché dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essero l’ultimo Festival del quinquennato Amadeus, vuoi perché tanti artisti in gara si giocheranno da tanto a tutto, vuoi perché i recenti stravolgimenti in RAI sembrano anticipare un 2025 in cui si spalancheranno le porte al grido di “si salvi chi può”, il Festival del 2024 si preannuncia come un vero e proprio spartiacque nella storia della competizione e forse dello stesso concetto di entertainment in Italia. E se tutto ciò non bastasse, su questi temi va ad innestarsene un altro: salvo rinunce, il vincitore del 74° leoncino d’oro andrà a rappresentare il nostro paese all’Eurovision Song Contest di Malmö.
La polemica su Sanremo come selezione nazionale per l’ESC va avanti più o meno dalla notte dei tempi, o quantomeno da quando nel 2015 si decise di legare la vittoria del Festival al diritto di rappresentare il tricolore in Europa. Non sono bastate la vittoria dei Måneskin, i podi di Mahmood e de Il Volo, gli ottimi piazzamenti di Francesco Gabbani, Ermal Meta/Fabrizio Moro, Mahmood/Blanco e Marco Mengoni per evitare il periodico riaffiorare della teoria “ci vuole una selezione diversa da Sanremo e/o una serata a parte e/o un diverso metodo di selezione” – come testimonia il successo di questa prece di Alberto Sacco, metà del duo di YouTuber Rubrichette, arrivata peraltro a metà giugno e dunque DOPO il quarto posto di Due vite a Liverpool. Risultato che peraltro buona parte del Twitter “che conta” e della stampa mainstream riteneva impossibile all’alba del dominio di Mengoni a Sanremo 2023, e sul quale non mi pare di avere letto particolari mea culpa o prese di coscienza del fatto che l’ESC non sia (più) la baracconata kitsch che vuole solo la proposta dance e la coreografia d’effetto.
Io mi sono convinto da tempo che il voler rifiutare l’associazione “vittoria di Sanremo = Eurovision” dipenda fondamentalmente da due fattori, rappresentati da due fazioni contrapposte. Da una parte i fan di determinati artisti che non hanno chance di vincere Sanremo alle condizioni attuali, e per questo devono trovare a tutti i costi un escamotage per spedirli in Europa senza passare dall’Ariston (senza concentrarsi su quello che dovrebbe essere il loro vero obiettivo, e cioè la ristrutturazione di Una voce per San Marino); dall’altra le persone a cui importa molto di Sanremo e poco dell’Eurovision, al punto da rabbrividire al pensiero che le dinamiche legate alla scelta del rappresentante possano più o meno influenzare il risultato finale della tenzone.
“Ma Davide, non puoi considerare Sanremo alla stregua delle altre selezioni per l’ESC! Sanremo è la fotografia della società italiana, è lo spaccato culturale del nostro paese!!! Nessun’altra nazione vede la propria selezione come qualcosa che va oltre il sapere chi la rappresenterà all’Eurovision, con un impatto totalizzante su spettacolo e televisione e mass media e politica e società civile e…”
Certo, come no. Se fosse così, nell’anno post-COVID tutte le altre selezioni nazionali avrebbero chiuso baracca e burattini, e i vari broadcaster si sarebbero limitati ad eleggere come rappresentanti per il 2021 i vincitori delle selezioni o le scelte interne dell’anno prima. Come il Festival è sopravvissuto alla pandemia, lo stesso è accaduto ad almeno una decina di suoi omologhi (dal Melodifestivalen al Melodi Grand Prix, dal Festival da Canção al DORA…), alcuni dei quali influenzano il discorso popolare e il panorama musicale della rispettiva nazione perlomeno quanto il nostro. Poi possiamo raccontarci che Sanremo è “di più”, che è iniziato prima di tutti gli altri, che la sua storia dura ormai quasi tre quarti di secolo, ma la realtà è che l’affiliazione all’ESC gli ha fatto soltanto bene (perlomeno sotto certi aspetti) e lo ha aiutato in questi ultimi nove anni – grazie alla lungimiranza di tre bravi direttori artistici: Conti, Baglioni e ora Amadeus – ad uscire dalle sabbie mobili dei Duemila e dei primi anni Dieci tornando ad essere attuale e soprattutto rilevante.
Sì, Sanremo è a tutti gli effetti una selezione nazionale per l’Eurovision, e si può fregiare a buon diritto di questo titolo dato che nessun’altra nazione è riuscita a riprodurne gli stessi risultati. La differenza è che mentre le altre selezioni hanno continuato a mettere la gara di canzoni al centro del proprio discorso, Sanremo l’ha presa come pretesto per costruirci attorno il varietà, il circo, il grande romanzo popolare che ogni anno si ricompone per una settimana nella Riviera dei Fiori.
I Big di #Sanremo2024 pic.twitter.com/Pbg6lHeHJL
— Festival di Sanremo (@SanremoRai) December 3, 2023
É in quest’ottica che va letta la notizia più importante arrivata oggi, e cioè l’allargamento del cast da 26 a 30 nomi. I Festival di Amadeus hanno sempre avuto come punto di forza la qualità dei cast e dei brani proposti, a fronte di un meccanismo di gara che non mi è mai particolarmente piaciuto e negli anni ha creato storture e disparità oggettive sempre più ampie (il tema portante di quest’anno è l’apertura della serata “””cover””” all’interpretazione di brani editi anche dallo stesso artista fino a settembre 2023, per cui rimando al mio thread della scorsa estate perché vorrei mantenere il mio fegato in salute da qui a febbraio). Io sarò sempre fautore di cast dalle dimensioni “importanti” e della ricerca del numero più alto possibile di artisti, generi e situazioni, ma NON nel contesto di una gara in cui alcuni act della lista qui sopra si esibiranno SEMPRE negli slot dalle 21 alle 23, mentre altri dovranno ringraziare se riusciranno a passare prima della mezzanotte in una serata su quattro.
Gli artisti in gara saranno 30, e per forza di cose qualcuno ne uscirà con le ossa rotte e terminerà nelle ultime dieci posizioni anche a fronte di ben altre credenziali della vigilia. Cambia così tanto, soprattutto per i VERI superbig (che grazie al meccanismo attuale si vedono già garantita al minimo una top10) partecipare con il rischio di arrivare 25° il sabato a fronte di una possibile eliminazione il venerdì sera, dopo aver ascoltato due volte il brano più la cover? Per me Sanremo è oggettivamente arrivato al punto che una scrematura di un terzo degli artisti dopo quattro serate può essere un compromesso quantomeno auspicabile e non più un deterrente, tanto ora che tutti ma proprio TUTTI vogliono partecipare.
Dopodiché, come ogni anno, dobbiamo fare i conti che la materia su cui dobbiamo lavorare è altra – e che il Festival della canzone italiana rimane in primis una gara di popolarità, elemento che esclude a priori dalla lotta per la vittoria o anche per la superfinale almeno una buona metà dei pretendenti. A mio avviso il cast di Sanremo 2024 è il più forte a livello di nomi e star power fra i cinque di Amadeus, forse con la sola eccezione del 2022 perché a questo giro i “colpi a sorpresa” (Negramaro, Alessandra Amoroso) erano tutti più o meno telefonati. Ma è innegabile che manchi un vero e proprio favorito scontato: tantissimi sono gli artisti che possono mettere in campo una proposta in grado di giocarsi la top5, ma davvero a nessuno è garantito l’approdo “a priori” nella cinquina che si giocherà il titolo.
Sanremo 2024 marcherà anche il decimo anno dall’ultima vittoria di una cantante solista donna, gap inferiore solo a quello maturato fra il 1983 e il 1995 (ma Romina Power e Anna Oxa avevano vinto in coppia). È una polemica che sicuramente si riproporrà quest’anno dopo lo “scandalo” della superfinale tutta maschile del 2023, e che da un lato vedrà una grande mobilitazione al grido di UnaDonna™ vincitrice (fosse pure la Cuccarini) e dall’altro una lotta fratricida fra i fan più tossici delle varie cantanti in gara, che potrebbero in qualche modo rubarsi supporto a vicenda e permettere l’emergere di un qualsiasi act maschile. Il tema dello scontro tra le fanbase delle artiste femminili, e di come spesso sia la stessa stampa a costruire una narrazione che va a metterle contro innalzando l’una o l’altra a seconda del mood e degli umori del momento, è stato brillantemente formulato dall’utente Twitter @imluca_ in quella che lui chiama “Teoria delle Bambole“: concetto che ho sempre trovato estremamente azzeccato e che rischia di essere quanto mai rilevante in questa edizione 2024 del Festival, dove almeno tre artiste arriveranno in gara con i favori più o meno velati del pronostico.
La prima “bambola” in questione è Annalisa: inutile girarci intorno, il 2023 è stato il suo anno e Sanremo 2024 è per lei la vera occasione da “o la va o la spacca” per puntare al bersaglio grosso. Potrà partecipare in altre occasioni (questa sarà la sua quinta apparizione in gara in 12 anni) ma è molto difficile immaginarsi di ritrovarla all’Ariston in una situazione di carriera migliore di quella che può vantare oggi, lanciata dal successo stratosferico di Bellissima e Mon amour. Anche in chiave europea il suo nome è sulla carta molto spendibile, in primis per gli eurofan – che a onor del vero la richiedono all’ESC da ben prima della sua attuale finestra di rilevanza – e in secundis dalla sua fanbase, che già si sta premunendo di ripulire la sua agenda dagli impegni che potrebbero inserirsi sulla strada per Malmö. Di buono c’è che Annalisa è un’artista che ama mettersi in gioco, adora la competizione, vuole il palco dell’ESC (ho sempre voluto pensare che Se avessi un cuore, lunga poco meno di 3:00, sarebbe stata la sua scelta per Stoccolma 2016 se avesse vinto a Sanremo con Il diluvio universale) e sicuramente si impegnerebbe per portare a casa il risultato, elemento non da trascurare se guardiamo al case history degli ultimi anni. A mio parere il brano che potrebbe coniugare meglio le sue velleità sanremesi ed eurovisive sarebbe una ballad moderna, o al limite un midtempo à la Tsunami, in ogni caso un pezzo non troppo movimentato in cui possa dispiegare le sue doti vocali e magari mettere in campo una messa in scena degna di questo nome. Soltanto, ecco, evitiamo di proporla come la risposta italiana a Chanel o a Eleni Foureira che lei per prima sa benissimo di non essere (e mi rivolgo innanzitutto alle persone, alcune delle quali stimo e a cui voglio un gran bene, che hanno suggerito seriamente la possibilità di scambiare l’ipotetica vincitrice sanremese che ancora non conosciamo e portare all’Eurovision l’attuale singolo Euforia).
Angelina Mango, vincitrice del circuito Canto e seconda classificata di Amici 2023, è sicuramente sia candidata a fare molto bene sia a forte rischio “bambola”. Arriva a Sanremo un po’ come Gaia Gozzi nel 2021, che sembrava lanciata ad esplodere come nuova artista di punta della scena italiana dopo aver vissuto sugli scudi il primo anno di pandemia e vide invece arenarsi la sua carriera ad una partecipazione incolore – segnata sì da problemi seri di salute, ma con un brano (Cuore amaro) a posteriori sbagliato e non all’altezza del palco dell’Ariston. Angelina invece i pezzi sembra saperseli scegliere, tanto da avere inanellato già tre hit da oltre 10 milioni di streaming, e in più ha il merito di essere seguita da una manager intelligente e sgamata come Marta Donà (già artefice del successo di Måneskin, Marco Mengoni e Francesca Michielin). Se Donà si è fidata a mandare Angelina a Sanremo così presto, con ogni probabilità lo fa perché ci sono possibilità concrete di vederla fare un’ottima figura, anche in un cast super carico come quello di questa edizione. Difficile dire a scatola chiusa quanto sia spendibile il suo profilo in chiave ESC, ma con il pezzo giusto (ipotizzo: un pop trascinante simile all’ultimo singolo, Che t’o dico a fa’) potrebbe sicuramente portare un’energia quantomeno fresca e un sapore diverso da quello delle nostre ultime proposte.
Infine, il debutto di Alessandra Amoroso – quella che in gara non c’è mai voluta andare, a differenza di tutta la fortunata prima nidiata uscita dai talent show a fine anni Duemila; che si è sempre mantenuta al di sopra dello stigma riservato alle varie “bambole” macinando record su record e presentandosi a Sanremo solo in veste di duettante o superospite; che solo ora decide per la prima volta di buttarsi nella mischia, anche per cancellare l’onta della gogna social subita la scorsa estate per essersi rifiutata di firmare un cuscino a una fan (incredibile anche solo doverlo raccontare, ma allo stesso tempo specchio del nostro tempo). Il potere di Alessandra al televoto è tutto da verificare, non essendosi mai esposta al giudizio pubblico dai tempi di Amici Big che peraltro vinse davanti ad Emma (sua futura rivale in Riviera). Già negli ultimi anni si vociferava un suo debutto, poi sempre abortito: credo che il suo sbarco a Sanremo non possa non essere accompagnato da propositi seri di vittoria, e che la carta che si giocherà sarà quella di una ballatona strappacuore che in chiave eurovisiva possa rappresentare il corrispettivo femminile di ciò che è stata l’anno scorso Due vite (buon supporto al televoto e poi pioggia di 12 e 10 punti fra le giurie internazionali)
Dati questi tre nomi come i miei personali cavalli su cui puntare a questo punto della “campagna” sanremese, vado a sciorinare gli altri potenziali nomi competitivi del cast (al netto di possibili sorprese):
– Mahmood torna in gara per la sua terza partecipazione in sei edizioni, a cinque anni dalla vittoria all’esordio con Soldi e a due dal plebiscito raccolto in coppia con Blanco e il successo interplanetario di Brividi: in mezzo, un secondo e un sesto posto all’Eurovision, risultati che lo pongono a mani basse come artista italiano più di successo nella “musica da competizione” in questo millennio. Vincesse una terza volta raggiungerebbe Iva Zanicchi a quota tre successi, con davanti soltanto due leggende irraggiungibili come Domenico Modugno e Claudio Villa. E tuttavia, le malelingue parlano di una partecipazione quasi costretta da un successo mai realmente consolidato, come testimoniano le vendite dell’ultimo album Ghettolimpo e le revenue del tour italiano. Per Mahmood, Sanremo 2024 sarà un banco di prova per giudicare il suo reale valore – ed è innegabile come forse più di tutti e 27 i Big lui abbia davvero molto da perdere con questa partecipazione;
– Geolier, trapper di Secondigliano, arriva in gara con la nomea di secondo artista più ascoltato in Italia nel 2023 e il desiderio di seguire le orme di Lazza (vera rivelazione dello scorso Festival). Sulla carta ha i numeri per issarsi nella cinquina finale, e non solo grazie al televoto del pubblico partenopeo che in analoghe circostanze è spesso venuto in soccorso di proposte altrettanto identitarie. È un bel momento in generale per la musica “urban” in dialetto napoletano (si veda LIBERATO, Nu Genea e il successo dei brani legati alla colonna sonora della serie TV Mare fuori) e il terreno sembra quantomai fertile, perlomeno sulla carta, per una proposta come quella di Geolier. Il punto di domanda a mio avviso è più su quella che sarà la sua performance live – Rkomi nel 2022 arrivava con numeri simili, se non maggiori, e ciò non gli impedì di venire massacrato – e su come verrà recepito dalle masse l’uso dell’autotune, tema ovviamente importante anche se dovesse concretizzarsi la sua partecipazione all’Eurovision. In più, resta di norma in agguato qualche polemica strumentale sulla musica trap e la violenza dei testi, che di questi tempi fa sempre parlare e indignare a comando i boomer di Facebook;
– Irama e Sangiovanni sono arrivati rispettivamente quarto e quinto in un’edizione competitiva come la 2022, e non ci sono particolari motivi di pensare che non si possa ripresentare un’occasione analoga se dovessero allinearsi gli astri e la giusta serie di circostanze. Diodato torna in gara a quattro anni dalla vittoria nel 2020 pandemico, con un regolamento diverso rispetto a quello attuale e temo poche speranze di risultare un fattore importante al televoto (se non nei desideri degli eurofan stranieri, che lo stanno raccontando come uno dei possibili candidati alla vittoria finale). Mr. Rain, medaglia di bronzo a sorpresa l’anno passato, deve inevitabilmente provare a ripetersi e a giocarsi un gimmick furbo almeno come quello del coro di bambini che portò Supereroi al terzo posto: dovesse arrivare con un pezzo meno memorabile delle aspettative, dubito fortemente che gli verrebbe perdonato;
– vedo sul filo anche i The Kolors, di nuovo in gara a sei anni di distanza dal nono posto raccolto con Frida (mai, mai, mai) (all’epoca massacrata a suon di pregiudizi dalla stampa specializzata, ma a conti fatti mio brano preferito di quell’edizione), scartati più volte negli anni passati e ora in gara per monetizzare l’inaspettato successo di Italodisco, vero tormentone dell’estate italiana 2023. Dovessero portare un brano analogo, anche ugualmente impattante, dubito verrebbero presi seriamente nel contesto del Festival e non credo nemmeno che quest’anno sia servito loro a consolidare una fanbase forte abbastanza da far reggere loro una gara di questo livello: diverso il discorso ESC, dove con il pezzo giusto e il loro brand di italianità potrebbero davvero dire la loro e di recente hanno strizzato l’occhio a un certo tipo di mercato internazionale. Mai dire mai (mai, mai, mai);
– dopo il primo posto del 2015 e il terzo del 2019, è inevitabile che Il Volo torni in gara per risultare un fattore importante soprattutto in chiave televoto. Potrebbero benissimo essere l’Ultimo del 2024, l’act che entra nella cinquina sostenuto solo dal pubblico e viene poi fatto fuori da sala stampa e radio. D’altra parte è impossibile chiamarli fuori dalla contesa solo sulla base di un’idea che la loro proposta (che ancora non conosciamo) sia “già vista”, o in qualche modo superata per il pubblico di Rai 1 – dal momento che anche nel 2019 si facevano gli stessi discorsi e al banco di prova se la giocarono al televoto con il miglior Ultimo. Che lo vogliate o no, ci saranno anche loro, soprattutto se dimostreranno di potersi rinnovare e portare qualcosa di diverso rispetto a ciò che ci aspettiamo. E lo sapete, se arrivano a Malmö sono dolori per tutti;
– il debutto dei Negramaro tra i Big (dopo la partecipazione estemporanea nel 2005, con Mentre tutto scorre eliminata in semifinale tra le Nuove Proposte) è forse il punto di domanda più grande, oltreché il vero coup de théâtre maturato da Amadeus quest’anno. Sulla carta si tratta del tipo di profilo con abbastanza fan e supporto “sommerso” da poter vincere tutto il vincibile anche solo per la forza del nome – e d’altra parte non potrebbe essere altrimenti, visto il successo del loro tour celebrativo dei 20 anni di carriera (anch’esso non scevro da polemiche). D’altra parte è vero che non azzeccano un singolo di vero successo ormai da qualche anno – forse l’ultimo fu Fino all’imbrunire, hit minore dell’autunno 2017 – ed è facile immaginarsi come una loro partecipazione con un brano anonimo, simil-Giorgia 2023, potrebbe fare sprofondare in fretta le loro quotazioni. Quanto alle loro possibilità in chiave ESC, boh, your opinions may vary;
– la quota “vecchie glorie” è rappresentata da Fiorella Mannoia e Loredana Bertè, che devono scontare due grandi delusioni vissute all’Ariston non così tanto tempo fa: la sconfitta della prima nella superfinale del 2017 contro Francesco Gabbani che si intrammise all’ultimo in quella che doveva essere una vera e propria coronazione, e il mancato accesso della seconda nella terzina finale del 2019 malgrado il veemente supporto della platea (con le regole attuali ce l’avrebbe fatta e avrebbe buttato giù dalla torre l’eventuale vincitore Mahmood). La sensazione è che l’occasione d’oro sia passata per entrambe, e che in un cast competitivo si rischi di non trovare spazio per nessuna delle due non già fra i cinque che si giocheranno la vittoria, ma pure in una ipotetica top10. Le ultime legacy victories di Sanremo risalgono al 2011 (Roberto Vecchioni) e al 2016 (Stadio), e con il livello attuale sembrano destinate a rimanere tali ancora per un bel po’.
Ovviamente queste sono tutte considerazioni che prescindono dai brani in gara, come sempre destinati a dire l’ultima parola sul successo di uno o dell’altro artista e in ogni caso di tutto il Festival. Ma quello che mi sento di dire oggi è che, in un modo o nell’altro, l’Italia si presenterà ai nastri di partenza dell’Eurovision con l’intento dichiarato di riportare a casa il microfono di cristallo o quantomeno provarci. Resta solo da scoprire quali saranno l’artista e la canzone destinati a difendere i nostri colori, per una stagione sanremese 2024 che si preannuncia quantomai attesa, controversa e piena di spunti di riflessione.